IL RITORNO DEL TAFANO

Filosofia in carcere

Marina Beraha

Il rapporto fra filosofia e carcere è tanto antico quanto profondo. Nel corso dei secoli un gran numero di pensatori fu rinchiuso e, talvolta, sottoposto ad atroci torture a causa delle sue idee. Si pensi a Tommaso Campanella, che scontò, nel Seicento, quasi trent’anni di carcere dopo essere scampato alla pena di morte per eresia. O ad Antonio Gramsci, condannato dal Tribunale Speciale Fascista nel 1927, condanna sancita dalla famosa frase del pubblico ministero Isgrò: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Isgrò non ci riuscì, così come l’Inquisizione non riuscì a silenziare il pensiero di Campanella, e dalle sbarre del carcere uscirono opere fra le più rilevanti di questi autori. Allo stesso modo, la notte di carcere scontata da Henry David Thoreau per non aver pagato la Poll Tax, tramite la quale il governo statunitense finanziava la guerra con il Messico, servì da stimolo per la stesura del suo saggio Civil Disobedience (1848). Oggi, fortunatamente, almeno in questa parte del mondo, le carceri non sono più affollate da pensatori dissidenti, condannati ingiustamente per essersi fatti portatori di idee scomode per l’ordine costituito. Cionondimeno, il rapporto fra filosofia e carcere resta fecondo.

Il ritorno del tafano
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