CRISTALLO-DELEUZE

Bergson ha proposto a suo tempo di distinguere tre tipi di concetti: i concetti “rigidi”, i concetti “malleabili” e i concetti “individuali”. I concetti “rigidi” sono buoni solo per la conoscenza scientifica del mondo e il suo sfruttamento ma non permettono di cogliere il reale (e in particolare la sua temporalità). I concetti “malleabili” sono capaci di trasformarsi, adattandosi agli oggetti a cui si applicano, seguendo però una regola interna – come le funzioni matematiche permettono di descrivere fenomeni diversi scoprendone la logica comune. Ci sono poi i concetti “individuali”. Questi valgono per un oggetto solo, e come la carta geografica di Borges che coincide quasi con il territorio, è difficile dire se c’è ancora differenza tra concetto e oggetto. Sono come l’ombra della cosa, che diventa paradigma di se stessa.

Nel 2025 si celebra il primo centenario della nascita di Deleuze (e i trent’anni dalla sua morte). E, lo sappiamo, Deleuze, tra i pensatori del Novecento francese, è stato senz’altro quello più propenso (o più abile) a creare concetti (e a riflettere sulla creazione di concetti): il pensatore-cometa, l’apprendista, lo schizo, il corpo senz’organi, le teste cercanti… Se riprendiamo le categorie di Bergson, è evidente che i concetti deleuziani non sono certo concetti rigidi. Ma ci si può domandare se siano concetti “malleabili” o concetti “individuali”. E la domanda è tanto più legittima se si confronta il lascito di Deleuze con quello di Derrida e di Foucault: il primo, più propenso alle figure che ai concetti; e il secondo impegnato a inventare innumerevoli dispositivi talvolta assai difficili da esplicitare nei loro contenuti reali. Si potrebbe dire che i concetti di Deleuze sono innanzitutto e soprattutto dei concetti “malleabili”, e le pagine magistrali che Deleuze dedica alla nozione di espressione in Leibniz e Spinoza convalidano il suo interesse per il ruolo dei concetti come “funzioni”. Ma ciò che rende forse Deleuze vivo, e che permette di salvaguardarlo dalla tentazione (permanente) di trasformarne l’insegnamento in dottrine è il carattere “individuale” delle sue creazioni concettuali. Detto altrimenti, i concetti deleuziani hanno poco di astratto, e talvolta poco anche di realmente condivisibile: è il lavorio del suo pensiero che si mostra, e che mostra, facendosi, come altri pensieri possono prendere la propria via. Il dossier raccolto da Cristina Zaltieri sotto il titolo “Cristallo-Deleuze” (un nuovo concetto, che più individuale non si potrebbe!) che occupa la “Questione filosofica” di questo numero è un ottimo esempio di come funzionino e cosa producano i concetti di Deleuze. I sondaggi proposti dai vari contributi, con temi che spaziano dall’estetica, alla logica, alla filosofia della natura, alla critica letteraria, mostrano come le intuizioni di Deleuze non chiedano di essere verificate o prolungate ma esigano una costante ripresa. Validi per gli oggetti (filosofici) singolari che li hanno suscitati, i concetti deleuziani chiamano attivazioni ulteriori. Il modello del cristallo non deve trarre in inganno: non è la sua trasparenza che conta, né la rifrazione che esercita, ma la compresenza di opacità e luminosità – uno strumento denso, un concetto “individuale” che svela lucentezze inaccessibili ma capaci di ispirare.

Per la sezione “Laboratorio” il testo di Andrea Lucchini Nietzsche e la forma plurale del pensiero pone in evidenza il ruolo fondamentale delle scelte di stile di Nietzsche coerenti con le finalità di un suo profondo smarcamento rispetto alla tradizione razionalistica del pensiero occidentale. Egli assume la forma allegorica in sintonia con le riflessioni di Benjamin su di essa, in quanto espressiva di una divergenza intrinseca al sistema di codici allineati alla concatenazione di sintassi logiche rigorosamente organizzate. Il frammento dell’ideogramma allegorico sottende ed inaugura indizi di un pensiero nuovo e pluralistico, inteso come denuncia della coimplicazione tra linguaggio e dinamiche repressive della civiltà umana, più in generale tra potere e dominio. Fabiana Grazioli in Lo stile come elemento costitutivo dell’esperienza riprende il tema dello stile in termini generali, evidenziandone la ricaduta sul piano dell’estetica intesa non semplicemente solo come filosofia dell’arte, ma in quanto ambito predisposto ad una esperienza totale dell’immanente stesso. Lo stile denota un orizzonte di senso, permette di cogliere il gioco delle differenze del mondo circostante al quale si accede. Ne sono promotori e sostenitori l’estetica di Dilthey, la fenomenologia percettiva di Merleau-Ponty e la singolarità di Deleuze. Nella parte finale l’autrice auspica una estensione aggiuntiva delle virtualità stilistiche nel campo digitale come una innovativa potenzialità da mettere alla prova nelle ibridazioni con la tecnologia.

La parola chiave attorno alla quale si dipana la matassa argomentativa di Gianluca Viola in L’incontro con l’Altro nel “Tout-Monde” è chance a proposito dell’incontro con l’Altro nelle evenienze storiche che hanno caratterizzato l’Occidente. L’autore riprende e sviluppa le quattro fasi individuate e illustrate dal polacco Ryszard Kapuscinski, a partire dalla grecità fino alla nostra contemporaneità, nella quale si è determinata una “esplosione dell’Altro” connessa alla globalizzazione e l’effetto di un multiculturalismo. La perdita della centralità politica e culturale dell’Occidente induce a incertezza, smarrimento ideologico e progettuale. Qui interviene la proposta di rimuovere la paura e lo sgomento per l’Altro sempre più pervasivi nell’opinione pubblica, prendendo in considerazione la chance di inaugurare una nostra storia comune mondializzata fondata su coesistenza, condivisione e amicizia.

Sulla tematica dell’ambiente presenta una ricca varietà di argomentazioni su cui riflettere e aprire un confronto Matteo Andreozzi nel suo contributo intitolato L’eredità dell’etica ambientale. L’obiettivo dichiarato è di creare le condizioni teoriche per un nuovo paradigma di etica ambientale a partire dalla constatazione che l’umanità, pur essendo radicata nel mondo naturale, da essa si è progressivamente distanziata nel corso della storia, trascurando l’intuizione della fondamentale unità del vivente. Si propone un ambientalismo umanista dettato dall’“antroposcopismo”, ovvero un esame dell’ambiente naturale condotta dall’interno, in quanto di essa noi siamo parte. Ne vengono valori da rispettare, limiti da osservare, alterità da tutelare, con l’auspicio che gli assunti teorici delineati per una nuova etica ambientale, ispirata ad un riequilibrio nei rapporti tra umano e non-umano, si traducano in coerenti pratiche operative nel mondo che viviamo.

La sezione “Intersezioni” contiene Sulle tracce di Benjamin. Dalla Kinderbuchsammlung ai Passages di Iosella Greco che mette in luce – come di rado si è fatto tanto incisivamente – la straordinaria disposizione alle intersezioni di Walter Benjamin filosofo marxista, ma anche sociologo e critico letterario. Così appare nei Passages , restituzione a noi di una fantasmagorica Parigi degli anni ’20 e ’30 del 1900, da lui attraversata per strade che sono “la dimora della collettività”, con una inesauribile curiosità da flaneur, detective e collezionista incallito. Passare da Infanzia Berlinese ai Passages, come nel titolo della autrice, propone un tratto significativo della personalità di Benjamin. La sua scrittura è frammentaria, tanto composita da richiamare le figure di un caleidoscopio, e illimitata: i Passages sono opera di circa 1200 pagine rimasta incompiuta. In chiusura l’autrice cita l’angelo di Klee, che Benjamin riprende, “trascinato nel futuro, ad ali aperte, da una tempesta paradisiaca: chiamiamo progresso questa tempesta”.

La sezione “Pratiche filosofiche” fa riferimento ad un evento presentato nel contributo di Antonio Sartori, Il museo della filosofia: una stanza che si fa casa, a proposito della mostra sul complottismo presso la Università Statale di Milano. Dopo una parte sulla utilità e sul significato di un museo in Italia della filosofia capace di coinvolgere un pubblico più vasto di quello specialistico, l’autore descrive con accuratezza l’organizzazione e le finalità di questa mostra, che ha focalizzato in prospettiva interdisciplinare un problema come quello delle fake-news di grande attualità nel mezzo di fact-checking e nudging, che trova una interdizione filosofica nel riferimento al tema della verità. In conclusione, si fa l’annuncio che la mostra è un preambolo della inaugurazione a Milano di un museo della filosofia, aperto alle Università e alle associazioni come la Società Filosofica Italiana, promotrice dell’ultimo Congresso Mondiale della Filosofia svoltosi a Roma nel 2024 con il titolo “Philosophy across boundaries”, una prospettiva che questo evento sul complottismo ha adottato senza riserve.

Chiude il numero la sezione “Letture ed eventi” con una serie di recensioni: Gianni Trimarchi su Il divenire della Bildung in Nietzsche e Spinoza di Cristina Zaltieri; Matteo Canevari su Pedagogie dell’esclusione Pedagogie dell’inclusione di Monica Ferrari e Matteo Morandi; Davide Gianetti su Selfie. Sentirsi nello sguardo dell’altro di Giovanni Stanghellini; Davide Bernini su L’égoïsme vertueux: Montaigne et la formation de l’ésprit libéral di Thierry Goutier; Manlio Forni su L’altra scommessa. Pascal, indagine sul pessimismo di Antonio Pascale; Danilo Di Matteo su Cybercapitalismo. Fine del legame sociale? di Emanuela Fornari.

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