MISCELLANEA

Questo numero si presenta sotto il titolo, suggestivamente vago, di Miscellanea e sostituisce il dossier tematico programmato sul tema della complessità. Tuttavia, come si dice in francese, il caso fa bene le cose. Quasi tutti gli articoli qui presentati conducono infatti, in maniera assai esplicita, una riflessione sulla complessità. D’altronde, dietro ogni miscellanea non c’è forse un filo segreto, che svela, in controluce dell’apparente eterogeneità, la complessità di un ordine quasi impercettibile?

Molti indicatori della nostra contemporaneità sottolineano gli aspetti di complessità che riguardano sia gli aspetti che segnano la vita comune sia gli esercizi di pensiero ad essa. Appare opportuno aprire questo numero della rivista con lo scritto di Silvana Borutti, Complessità e critica della epistemologia, che mette in evidenza la ricaduta sul piano epistemologico e, più in generale teoretico, di quanto occorso con le novità scientifiche nel corso della seconda metà del ’900 ed il superamento della concezione standard della scienza moderna. Il cambio di paradigma ha riguardato la critica dell’ideale meccanicistico della conoscenza fondato su rapporti causali linearmente delineati da un rigido rapporto di input/output a favore di modalità fondate sulla attenzione alla complessità del nodo di relazioni possibili che riguardano i fenomeni. Cambia la tradizionale idea della natura: non più una macchina perfetta scomponibile in parti astratte dal contesto, ma un organismo ricco di relazioni con esiti non immediatamente prevedibili. A conferma delle nuove teorie della complessità l’autrice fa riferimento a specifiche ricerche sul campo. Da un lato i sistemi autopoietici descritti da Maturana e Varela per i quali il sistema si fonda su un processo circolare che genera da sé la propria organizzazione, operando come sistema di produzione dei propri componenti. D’altra parte, le strutture dissipative poste in evidenza da Prigogine a proposito della termodinamica del nonequilibrio, che vede i processi in un mondo di instabilità con collisioni, decomposizioni e fluttuazioni. La conclusione è promettente e stimolante per chi fa ricerca: il pensiero della complessità invita a guardare entro la rete delle relazioni fenomeniche al di là degli schemi consueti e perseguire l’inaspettato.

È possibile pensare la complessità della mente al di fuori di uno schema che la riconduca ad un approccio dualista, la mente come l’altro del corpo? E se sì, questo approccio è necessariamente quello fisicalista, o materialista, che vede nella mente una sorta di doppio fantasmatico del cervello, unica effettiva realtà? È con questi interrogativi che si confronta Cristiano Calì nel suo contributo Dal fisicalismo al naturalismo minimale ampliato. Per un’ontologia in grado di dar conto della complessità del mentale. La proposta avanzata dell’autore consiste nel salvaguardare la specificità delle proprietà non fisiche della mente attraverso una nuova “sintesi ontologica”. Per rendere conto della mente occorre cioè sforzarsi di pensare un “naturalismo minimale ampliato”. Un naturalismo, perché l’uomo, in quanto animale pensante, è ricondotto in seno alla natura: un ente naturale, che risponde al medesimo sistema di leggi e di necessità cui soggiacciono gli altri enti, e le cui performances mentali dipendono necessariamente dalla attività cerebrale. Ma un naturalismo ampliato, perché capace di tener conto di un dualismo delle proprietà mai obliterabile. Si deve cioè considerare “l’essere umano come parte della materia, benché siano riscontrabili in lui/lei proprietà o attività che sfuggano a una mera descrizione materiale”. Il punto di equilibrio tra istanze teoriche opposte è quasi impercettibile, ma coglierlo, o quanto meno indicarlo, è la sfida che la complessità della mente non smette di rivolgere agli scienziati e ai pensatori contemporanei.

In Empirismo radicale ed empirismo organico. L’esperienza della concretezza ostinata in James e Whitehead Christian Frigerio analizza con finezza le critiche che i due pensatori rivolgono all’empirismo classico di Hume. In particolare, James e Whitehead si scagliano contro due dogmi humiani: da una parte, la decisione di escludere la dimensione pratica dalla riflessione filosofica (in particolare per quanto riguarda lo scetticismo e l’accesso al vero), dall’altra, la convinzione di Hume, condivisa poi anche da Kant, che “le relazioni siano un’aggiunta posticcia, operata da qualche facoltà di ordine superiore, a delle impressioni di carattere atomistico, disconnesse tra loro, che sarebbero l’unica realtà autenticamente esperita”. Contro questo doppio dogma, James e Whitehead invitano ad ammettere la pratica nel dominio dell’indagine razionale, ed anzi a fare della pratica il luogo privilegiato dove la verità stessa si definisce. D’altro canto, le relazioni non hanno nulla di parassitario, al contrario sono “interne”, definiscono cioè la natura stessa di ogni ente iscrivendolo da sempre in una rete connessa di determinazioni reciproche. L’empirismo sarà tanto più radicale quanto più si mostrerà organico, permettendo di pensare i dati dei sensi come “organicamente strutturati, connessi per formare un intero in un modo che dipende dalla loro stessa natura” e non solo dai principi, siano anche delle forme pure a priori, messi in opera dal percipiente. L’invito è ancora una volta quello di pensare la complessità nella sua ostinata concretezza, sempre da articolare, come una sfida alla regione e non come un facile rifugio nell’irrazionalismo.

Il testo di Giovanni Altadonna, Unità della conoscenza in Edward Osborne Wilson, ci consente il confronto con un pensatore del tutto estraneo alle virtù della complessità, a favore del canone ispirato al più rigoroso riduzionismo. L’opera più nota e più colpita da strali polemici di Wilson è, come è ben noto, Sociobiologia, colpita anche dall’accusa di un razzismo connesso alla impostazione sociobiologica. Il merito di Altadonna è di soffermarsi in prima istanza su un altro scritto, Consilience. The Unity of Knowledge, che aiuta a comprendere quali sono le premesse teoriche che supportano l’opera principale dell’autore. Wilson si batte contro la frammentazione delle conoscenze e invita a una “consilience”, una concordanza unificante i differenti saperi in un numero ridotto di poche leggi naturali. Su ciò dovrebbe convenire la filosofia, che si uniformerebbe alla scienza in una sorta di metafisica positivista e, in quanto tale, da essa sarebbe di fatto assorbita. Alla critica di biodeterminismo che affetta l’attuale diversità culturale avanzata da Stephen Jay Gould, l’autore risponde che la determinazione di proprietà emergenti non pone questioni epistemologiche ma solo ostacoli tecnici di elaborazione che possono essere superati. Di qui i pilastri su cui si fonda la vexata quaestio della sociobiologia: universalità, continuità evolutiva, adattività. Le critiche di molti studiosi al suo riduzionismo sono forti e inequivocabili e del tutto condivise da Altadonna, che, tuttavia, concede qualche attenuante a Wilson e, implicitamente, un positivo riconoscimento. Sebbene scritto 25 anni fa, nell’ultimo capitolo di Consilience egli invoca una unità di tutti i saperi per fronteggiare i rischi della questione ecologica che delinea con chiarezza e lucidità. Su questo aspetto ha anticipato una comune consapevolezza che si è fatta strada negli ultimi due decenni.

Massimo Mezzanzanica con Alla scuola della fenomenologia. Emilio Renzi interprete di Paci e Ricoeur ha inteso ricordare e rendere omaggio la figura di uno studioso come Emilio Renzi mettendo in luce la sua posizione nei confronti dei due filosofi che ha considerato suoi maestri, Paci e Ricoeur. Mezzanzanica sceglie qui come riferimento Caro Ricoeur, mon cher Paci, che nella forma inusuale di una sorta di dialogo teatrale permette a Renzi di essere, come lui stesso confessa, interprete al contempo dei suoi due maestri. Il titolo generale Alla scuola della fenomenologia sottende il rapporto di interpretazione a loro volta della fenomenologia da parte di Paci e Ricoeur, e quindi il testo di Mezzanzanica si presenta come una complessa e minuziosa architettura ricostruttiva del pensiero dei due autori, a loro volta interpreti di un medesimo autore, Husserl, che sta alle loro spalle. Molteplici i temi affrontati, sui quali di volta in volta si registrano affinità e dissonanze: il tema della persona, della alterità, del nichilismo, del male, del tempo. Questa serie di confronti sono passati al setaccio attraverso la sensibilità filosofica di Renzi. In generale, la fenomenologia di Ricoeur si muove verso l’ermeneutica, quella di Paci verso un marxismo critico ma entrambi trovano poi un terreno comune: la valorizzazione della persona per un verso impegnata a combattere la sua fallibilità in quanto fragile, per un altro dotata di una propensione intenzionale alla volta della verità.

Nella sezione “Intersezioni” Rossana Veneziano illustra nel suo contributo Vita e destino. Un percorso filosofico tra le voci plurali della libertà gli aspetti di riflessioni emergenti in uno dei romanzi più illustri e importanti del ’900, Vita e destino di Vasilij Grossman, avvalendosi di riferimenti a filosofi come John Stuart Mill, Isaiah Berlin e, in particolare, Lévinas, come lui di origine ebraica e di grande supporto per la prima traduzione in Francia di questo libro. Il tema principale da cui si diramano una serie di altri è la libertà contrapposta alla totalità omologante del potere politico. Il Bene collettivo asserito dai totalitarismi non è che fanatismo oppressivo e persecutorio dell’individuo. Si pone un nesso tra la forza della verità e quella della libertà che alimenta la conoscenza. Uno stimolante passaggio su cui Grossman si sofferma è l’alternativa tra il male che appare trionfante e il bene che è in grado di contrastarlo. Non è tanto il Bene conclamato teoricamente, quanto il bene del gesto singolo e inaspettato, come quello semplice ed efficace della vecchia che offre un pane al soldato nemico fatto prigioniero. L’insieme si specchia nelle tragiche vicende della seconda guerra mondiale, di cui il romanzo rappresenta un affresco potente e dolente.

La sezione “Controversie” si avvale dello stimolante testo dell’antropologa Nadia Breda Un soffio di animismo. A proposito di “Controversie” nella svolta ontologica, nel quale l’autrice espone le sue critiche alle argomentazioni interpretative espresse nella stessa sezione del numero 14 della nostra rivista da Francesco Remotti. In base alla sua stessa esperienza sul campo, la Breda, principale interprete italiana della svolta ontologica assunta da Philippe Descola, sostiene l’opportunità di descrivere mondi plurali ontologicamente connotati. Ne viene un superamento della concezione di culture tra loro separate da barriere etnografiche per ritrovare analogie di modi di vita intessuti di elementi naturali, pregnanti per ontologia, analogicamente articolati nelle differenti aree del mondo, dove coesistono umani e non umani. L’interessante dibattito aperto da due studiosi quali Remotti e Breda merita la prosecuzione di un proficuo scambio critico tra le differenti posizioni da loro validamente rappresentate.

La sezione “Pratiche filosofiche” accoglie la testimonianza di una iniziativa didattica di notevole rilievo sulla quale interviene Annalisa Caputo in Abbecedario della cittadinanza democratica. Una esperienza di reti tra università, scuola, territori, un progetto nato all’interno della Università degli studi di Bari con l’estensione a molte realtà della città. La proposta rivolta ad una rete di scuole dall’infanzia alle medie superiori ha coinvolto 150 classi e ben 2000 studenti con proposte differenziate secondo i livelli di età ma sulla base comune di parole-chiave inerenti la cittadinanza e con il compito di realizzare un prodotto finale. In un evento finale di due intere giornate gli studenti sono stati protagonisti di sessioni di circa due ore l’una nelle quali hanno esposto le loro conclusioni occupando non solo gli spazi universitari ma altri del tessuto urbano con grande partecipazione collettiva. Una esperienza esemplare che merita riflessione e replica da parte di altre Università del nostro paese.

Nella sezione “Corrispondenze” Piergiorgio Consagra descrive la propria esperienza di studio e di ricerca in Islanda. Il punto di partenza, imprevisto e imprevedibile, è la constatazione di una “corrispondenza” segreta tra gli abitanti di due isole lontanissime, la Sicilia, da cui Consagra proviene, e l’Islanda dove la sua passione per le lingue e le mitologie nordiche l’ha condotto. Confrontarsi con una tradizione culturale così lontana significa riscoprire delle radici europee comuni, e l’ostacolo della lingua, tra le più esotiche per il nostro orecchio romanzo, è l’occasione per guardare con occhio nuovo alle nostre categorie e ai nostri archetipi. Situata ai limiti estremi dell’Europa, l’Islanda è stata infatti a lungo lo scrigno dei testi e delle narrazioni più antiche e suggestive del continente. Piergiorgio Consagra illustra con brio e precisione come sia possibile fare proprio e riconoscere come profondamente nostro un patrimonio culturale tanto diverso.

Infine, la sezione “Letture e eventi” comprende due recensioni su Pascal in corrispondenza con l’anniversario dei 400 anni della sua nascita: Gianni Trimarchi (Pascal averroista di Dal Pra) e Manlio Antonio Forni (La filosofia in fiamme di Rosaria Caldarone, La filosofia in fiamme. Saggio su Pascal). Seguono Marco De Paoli (Cosmopolis di Steven Toulmin), Stefano Piazzese (Chronos di A.G. Biuso), Filippo Iselli (Dove sono? Lezioni di filosofia per un pianeta che cambia, di Bruno Latour). Chiude Francesca Marelli (La città del sole di Tommaso Campanella, curatela di Marco De Paoli).

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